L’horror è uno di quei generi che ha più volte preso spunti dalla scienza. Gli esempi sono tanti ma qui parlerò di uno in particolare: il rapporto fra agenti infettivi (reali) e non-morti. Tutti voi starete già pensando alle varie declinazioni del virus zombie ma di queste mi occuperò un’altra volta, perché in cima alla mia personale classifica di morti viventi preferiti ci sono senza dubbio i vampiri.
L’idea che il vampirismo sia causato da un qualche tipo di agente infettivo non è certo nuova. Spulciando in rete per preparare questo post ho addirittura trovato una divertente storiella su una bufala storica a proposito dell’origine biologica del vampirismo. Ma torniamo a noi. L’esempio più illustre di microrganismo vampirico contagioso lo si trova in Io sono leggenda. Nel romanzo di Matheson, a trasformare gli esseri umani in creature non-morte e assetate di sangue è un batterio, come scoprirà il protagonista, Robert Neville, analizzando il loro sangue.
Da quello splendido libro vennero tratti tre film. Nell’ultimo di essi – che chiunque dotato di un minimo di buon gusto e amor proprio dovrebbe evitare come la peste – Robert Neville è un virologo militare con l’improbabile faccia di Will Smith. Sarà lui a scoprire che il vampirismo è stato causato da un virus del morbillo creato in laboratorio per curare il cancro ma poi mutato in qualcosa di ben diverso.
È interessante notare il ribaltamento dell’uso del dettaglio scientifico: nel libro serviva per raffigurare l’inarrestabile processo evolutivo che avrebbe portato Neville a essere l’ultimo uomo in un mondo di vampiri. Un dettaglio tutto sommato semplice che sostiene un’idea originale e potente. Nel film è stato invece usato per riproporre lo stereotipo della scienza che sfugge di mano all’uomo. Una storia di moda, va un casino quest’anno.
Eviterò di soffermarmi su come il film – con la ributtante piega miracolistico-salvifica che prende – abbia stuprato uno dei migliori romanzi sui vampiri dai tempi di Dracula. Meglio tornare al tema del post, reso attuale da una nuova serie tv.
Sto parlando di The Strain, trasposizione di una trilogia di romanzi scritti da Guillermo del Toro – che ha anche diretto il pilot – e Chuck Hogan. Va detto che, sebbene non manchino diverse somiglianze, almeno per ora quelli di The Strain sono un po’ diversi dall’archetipo del vampiro. Tipo che per nutrirsi tirano fuori una sorta di proboscide dalla bocca, tanto per dire. Tante altre cose invece tornano: la sete di sangue, la bara piena di terra, i fiumi che non possono essere attraversati. C’è pure il vecchio cacciatore badass dell’Est Europa, qui interpretato da Walder Frey.
In The Strain, le persone si trasformano in vampiri perché entrano in contatto con dei vermicelli assetati di sangue che si infilano nei loro corpi, vivi o morti che siano, modificandone gli organi e condizionandone il comportamento. Il contagio inizia quando un aereo atterra a New York e tutti i suoi passeggeri, tranne quattro, sono morti. A indagare viene mandato il protagonista, un epidemiologo dei CDC (Centers for Disease Control and Prevention) con la faccia del Peter Russo di House of cards e un discutibile parrucchino, che a un certo punto dice:
[A virus] has no concept of time or geography. It might as well be the Middle Ages, except for the convenience of hitching a ride on a metal tube flying from meal to meal to meal. That’s how a plague begins.
Il virus ai tempi della globalizzazione; eccola qui la paura su cui far leva. Dopotutto si tratta di un horror, no? La scienza può tornare molto utile per raccontare una paura simile, poiché consente di dare alla storia quel taglio alla CSI che aiuta ad aumentare il realismo e quindi l’immedesimazione dello spettatore.
Ma non è solo una questione di realismo.
In questo articolo, Todd VanDerWerff commenta The Strain insieme alla science writer Susannah Locke, la quale cita, fra le altre cose, alcuni esempi di vermi parassiti in grado di influenzare il comportamento delle loro vittime, in questo caso insetti. Fanno piuttosto schifo e sono veri. Ed ecco il punto: la scienza può essere sfruttata, in ambito narrativo, non solo per alzare il livello di credibilità, ma anche come grande fonte di ispirazione.
For as creepy as you can make some monster, there are almost certainly 10 or 11 things out there in nature that are even creepier.
Così VanDerWerff commenta i video sui vermi parassiti. E qualunque biologo non potrebbe che dargli ragione.