Un po’ di tempo fa avevo preso spunto da questo articolo di Annalee Newitz per parlare di come la scienza possa essere più importante di quanto ci si aspetti nella narrativa fantasy, lasciando però in sospeso una questione: quale disciplina scientifica si sposa meglio con draghi, orchi e stregoni?
Nel suo articolo, Newitz prova a dare una risposta: il fantasy tende a incorporare più elementi dalle scienze biologiche e naturali, mentre la fantascienza è più ricca di particolari riguardanti astronomia, fisica e ingegneria. Ci sta, dopotutto in entrambi i generi il tema del viaggio è molto sentito ma mentre nel primo vengono in genere esplorati ambienti diversi dello stesso pianeta, nel secondo ci si concentra di più su viaggi interplanetari. Piante, animali e condizioni climatiche avverse da un lato; balzi spazio-temporali e variazioni di gravità dall’altro. Conclude Newitz:
Of course there are SF authors who create realistic aliens, and many who write well-informed stories about near-term climate change. Those are the welcome exceptions. If you want good environmental science, fantasy is the genre these days that delivers.
Ma è davvero così?
In linea di massima, questa distinzione tutto sommato ha il suo perché. Un buon indicatore in questo senso è la grande quantità di manuali per scrittori di fantascienza che si concentrano su questioni fisiche, astronomiche e tecnologiche. Quali sono le conseguenze del variare della gravità? Cosa succede se un pianeta ha più di un satellite? Cose così. La biologia è in proporzione meno considerata, se non come spunto per creare razze aliene. Manuali scientifici per autori di fantasy? Non pervenuti. Mi viene però in mente una lettura che mi colpì parecchio: il Draconomicon, un manuale sui draghi per Dungeons & Dragons. Quando lo lessi avevo già quasi un quarto di secolo, ma le sue descrizioni in termini di anatomia, fisiologia ed ecologia di queste creature mi fecero tornare bambino, quando sfogliavo i libri sui dinosauri e mi emozionavo come un… be’, un bambino. Sarà stata quella somiglianza, sarà che mi stavo laureando in biologia, fatto sta che la sensazione di immersione che mi diede quel manuale fu eccezionale.
Insomma, il parallelismo fantasy/biologia ci potrebbe stare.
Se non fosse che le “welcome exceptions” citate da Newitz sono sempre più numerose e proliferano soprattutto nei confini incerti fra un genere e l’altro, al punto che forse parlare di eccezioni è riduttivo. Vogliamo fare almeno un esempio? Facciamolo. Perdido Street Station è un superbo esemplare di un genere ibrido che sembra fatto apposta per essere citato in questo post. L’ambientazione del romanzo di China Miéville è un mondo tecnologico pieno di creature esotiche, industrie, demoni, ragni multidimensionali e gente che lancia incantesimi usando formule matematiche. Soprattutto, gronda spunti scientifici da ogni pagina, molti dei quali biologici, e l’inquinamento ambientale è una delle cornici dell’ambientazione (uno dei fiumi principali della città in cui si svolge il romanzo si chiama Grande Bitume. Tanto per intenderci). Senza contare che il protagonista stesso è uno scienziato.
È un esempio fra tanti, ma le librerie si stanno riempiendo di ambientazioni a cavallo fra i generi, per non parlare del mondo dei giochi di ruolo cartacei, che nella sperimentazione di mix di questo tipo è forse ancora più avanti della letteratura.
Ma c’è un’altra questione da considerare. Negli ultimi decenni abbiamo assistito a una esponenziale crescita della biologia, che ha portato con sé nuove conoscenze, nuovi stimoli e nuove paure. Tutti elementi dai quali la narrativa, soprattutto quella di genere, pesca a piene mani. Non sarà, quindi, che la biologia si stia diffondendo in tutti i campi della letteratura fantastica, e non solo nel fantasy, semplicemente perché sta prendendo piede nella realtà, e di conseguenza nel nostro immaginario collettivo?
Di sicuro l’horror non è rimasto indifferente e ne ha anzi approfittato, come pure la fantascienza (*), che sembra essersi affezionata in particolare alla genetica – tramite la quale ha potuto esplorare ancora più a fondo l’inquietante mondo delle distopie – alla climatologia e alle neuroscienze. Pensate se Orwell avesse fatto in tempo a vedere lo Human Genome Project o lo Human Brain Project. Non fraintendetemi, non sono certo uno di quelli che vedono in questi grandi progetti un pericolo per la libertà personale, però è innegabile che certe visioni e certe paure funzionino alla grande come spunti narrativi. E vogliamo parlare dei supereroi? No dai, mi ci vorrebbe un altro post solo per loro, facciamo che ci siamo capiti.
Ecco che quindi la distinzione fatta da Newitz ha senso fino a un certo punto. Forse, in conclusione, sarebbe più sensato ragionare in termini di tipi di storie e poi da lì risalire alle discipline scientifiche più coinvolte. Volete un plot da thriller investigativo? Non fatevi mancare qualche approfondimento di medicina legale. Siete sotto agli zombie? L’epidemiologia non aspetta altro che darvi spunti a volontà. Vi piace raccontare viaggi ed esplorazioni? Un pizzico di ecologia potrebbe dare quel tocco in più alle vostre descrizioni. Vi piacciono gli intrighi? Allora state certi che la tossicologia potrebbe darvi parecchi idee interessanti, come anche la genetica (giusto per inventarsi qualcosa di più del colore dei capelli).
E badate bene che non parlo solo di romanzi e racconti. Chiunque si cimenti nella creazione di una storia, che sia una pièce teatrale o un’avventura per giochi di ruolo, dovrebbe tenere in considerazione l’enorme quantità di spunti che la scienza può offrire.
(*) Scusate, ma parlando di biologia e fantascienza non riesco a non citare la ridicola scena di un film per il quale non sono state versate abbastanza lacrime.