Questa recensione è incompleta, perché non ho finito di leggere il libro. Il che già vi dà qualche buon indizio su quanto mi sia piaciuto. La quarta di copertina e il titolo mi avevano catturato con il loro tono accattivante e furbetto. Mostri, allucinazioni e sarcasmo; un mix del genere, se gestito bene, può risultare in una bombetta, di quelle che si beccano la sacra etichetta “di culto”. A leggere certi commenti in rete – il libro è del 2009 – sembrava proprio che fosse così, al punto da suscitare l’attenzione di un regista che aveva già portato al cinema (e anche bene, pare) una storia di Lansdale, di quelle appartenenti alla categoria “follia senza ritegno”. Se poi contate che me ne aveva parlato uno che di libri un poco ne capisce (*), era chiaro che non potevo più tirarmi indietro.
La faccio breve: avete presente quel tizio spiritoso che vuole essere cool e vi fa ridere i primi dieci minuti ma che già dopo mezz’ora vi porta a desiderare di non averlo mai incontrato? Ecco.
Il libro inizia con piglio brillante, prosegue col pilota automatico e, arrivato a un certo punto… la noia. Noia nel senso che, fra gente che esplode, cose strane viste con la coda dell’occhio e battute che non riescono davvero a far ridere (anche quando potrebbero, il che è grave), a un certo punto mi sono chiesto quanto fossi curioso di sapere come sarebbe andata a finire. A parte il fatto che John muore, intendo. Se siete sagaci avrete intuito cosa mi sono risposto.
David Wong – pseudonimo di Jason Pargin – pensa che per scrivere un libro di fantascienza/horror surreale sia sufficiente frullare insieme un po’ di mostri, tante scene splatter, un cinismo neanche tanto coraggioso e battute che vorrebbero essere oneliner, prendere a martellate il frullatore e poi stendere il tutto lungo un filo di trama tanto esile che a volte viene il dubbio che non esista.
Un giorno aprirò una clinica privata per autori-che-si-credono-Tarantino-o-Lansdale-e-invece-no e farò i miliardi.
(*) A sua discolpa va detto che non l’ha ancora letto.