Da Oggiscienza, 31 maggio 2017
Con la nostra rubrica spesso visitiamo mondi lontani nel tempo e nello spazio, popolati da esploratori, astronauti, supereroi e creature bizzarre, studiando la scienza di cui sono intrise le loro storie. Ma anche il nostro mondo quotidiano può essere un’ottima ambientazione per una narrazione dove la scienza ha un ruolo di primo piano.
Prendiamo la storia di Alice, raccontata da Silvia Bencivelli nel suo romanzo d’esordio, Le mie amiche streghe. Alice ha quasi quarant’anni, è una giornalista scientifica laureata in medicina ed è precisa, ironica, talvolta saputella. Soprattutto con Valeria, Arianna e Lucia, amiche da una vita, da quando ha scoperto che sono diventate streghe. Non aspettatevi nessuna deriva urban fantasy, le amiche in questione – che, come Alice, sono “figlie della stessa borghesia intellettuale di sinistra” e laureate in materie scientifiche – non lanciano incantesimi, non creano pozioni magiche, non evocano creature sovrannaturali. Però credono alla magia.
Valeria, per esempio. Nonostante il suo dottorato in biologia molecolare è convinta che mettersi in una stanza al buio con una torcia puntata sul pube possa aiutare il bimbo podalico che porta in grembo a girarsi dalla parte giusta. Arianna invece è anestesista. Alice e le altre l’hanno sempre considerata predestinata a indossare il camice bianco. Ma Arianna dà ai suoi figli pozioni basate sui principi della similitudine del farmaco e della memoria dell’acqua. Mentre Lucia, laureata in chimica, usa l’aggettivo “chimico” con quella stessa accezione negativa che molti gli attribuiscono, in contrasto con la positività di tutto ciò che è “biologico” e “naturale”.
Alice non ci sta, non si capacita di come quelle persone istruite e razionali con le quali è cresciuta siano diventate streghe. E la sua doppia deontologia, medica e giornalistica, la induce a cercare di smontare queste superstizioni, citando dati, prove, fatti documentati. E pazienza se ciò può provocare negli altri “una fragorosa esplosione di palle”.
Ma il conflitto con la stregoneria delle amiche non è l’unico che Alice deve affrontare. Ce n’è un altro, interiore, che la spaventa, e di cui parla il meno possibile e in maniera evasiva. È grazie a questo evento che emerge lo strabismo identitario di Alice, divisa fra la sua parte precisina e quella emotiva che, come le dice un’altra sua amica, “sa dire di aver paura”.
Il protagonista razionale che entra in contatto con il suo lato irrazionale è un archetipo narrativo molto sfruttato, che Bencivelli riesce a declinare con naturalezza e senza cadere nella banalità. Nel corso della storia Alice cambia senza però perdere le sfumature di complessità che la caratterizzano, senza rinunciare a una delle due anime a favore dell’altra. Continua a cercare un modo adatto per definire sé stessa, senza disdegnare cose come un oroscopo descrittivo – non predittivo – che sembra aver colto alcuni aspetti di lei. E, soprattutto, accetta la possibilità che anche lei, nonostante la sua doppia predisposizione deontologica al rigore scientifico, ogni tanto cerca conferme per quello che crede di aver capito. Il che, forse, non la rende poi così diversa dalle sue amiche streghe.
Le mie amiche streghe parla di tante cose: dell’amicizia, della complessità, del bias di conferma (da cui nessuno è immune), dell’ossessione per la comprensione. Tutti argomenti che si annodano nelle introspezioni di Alice e nei suoi dialoghi con amiche, parenti e colleghi. Nei quali ogni tanto si inseriscono gli spiegoni con cui la protagonista smonta alcune delle bufale più comuni, dal legame fra vaccini e autismo ai falsi esperimenti sulla memoria dell’acqua.