A Central Station si incontrano etnie, culture e religioni diverse, così come diverse forme di vita, biologiche, sintetiche e altre. Ma l’enorme spazioporto che torreggia sulla Tel Aviv del futuro è anche un crocevia di generi letterari che si mescolano e contaminano, dando vita a quel flusso armonico ed elegante che è la prosa di Lavie Tidhar.
Israeliano, poco più di quarant’anni, Tidhar vive a Londra ma ha viaggiato per mezzo mondo, dal Sud Africa al Laos. Nel 2012 ha vinto il World Fantasy Award con Wanted(dove immagina un mondo in cui l’attentato dell’11 settembre non è avvenuto nella realtà ma in una serie di romanzi), battendo pezzi grossi come George R. R. Martin e Stephen King.
In Italia è poco conosciuto ma, grazie all’impegno di due piccoli ma dinamici editori, il suo nome sta circolando molto nell’ambito degli appassionati di fantascienza, e non solo. Fra luglio e settembre, Acheron Books (che a marzo aveva già fatto uscire Ebrei contro Zombi, antologia horror curata proprio da Tidhar) e Future Fiction hanno pubblicato rispettivamente Central Station e Terminale Terra, due opere di fantascienza che ben rappresentano lo stile particolare di un autore decisamente poco mainstream.
“A livello internazionale, Tidhar è forse più conosciuto come editor che come autore, avendo curato alcune antologie della serie The Apex book of world science-fiction che gli hanno dato grande visibilità e per le quali ha vinto diversi premi”, racconta a Esquire lo scrittore Davide Mana, già traduttore di Ebrei contro Zombi e curatore della versione italiana di Central Station. Ciò che l’ha reso molto popolare all’estero ma lo ostacola nel nostro paese credo sia l’enorme varietà di stili e generi letterari che sa gestire. È molto difficile incasellarlo e questo ha probabilmente spiazzato gli editori nostrani. In Central Station scrive storie di fantascienza scientificamente credibili usando però toni e formule del fantasy, e in questo mi ricorda autori altrettanto raffinati e letterari come Roger Zelazny e Samuel Delany, che hanno recuperato le strutture delle ballate o dei racconti popolari, creando nuove mitologie anche fantascientifiche. Proprio come fa Tidhar”.
Non la fantascienza a cui molti sono abituati, insomma. Quello di Tidhar è un mondo futuristico ma al tempo stesso ancestrale, dove oracoli, divinità e maledizioni si intersecano con innesti biomeccanici, robot veterani di guerra che elemosinano vodka e parti di ricambio, e con l’onnipresente Conversazione, l’enorme network cui tutti sono connessi tramite un nodo impiantato alla nascita:
Quel brusio, quel ronzio ripetitivo e costante di voci umane (e artificiali, ovviamente), l’incessante scambio di informazioni, ciò che i Ragni (sonde alimentate da Altri il cui lavoro è estendere l’informazione indefinitamente per tutto lo spazio umano e oltre) definiscono la Musica delle Sfere.
Basta guardare i protagonisti di questo libro per rendersi conto di come Tidhar sia a suo agio nel contaminare generi letterari diversi: un dottore che vive in simbiosi con un parassita marziano; una vampira che si nutre di dati; ragazzini cresciuti in laboratorio e dotati di poteri considerati magici; una famiglia alle prese con la maledizione di una memoria cancerosa e fuori controllo; un libraio isolato dalla Conversazione che colleziona vecchie storie pulp e si improvvisa detective. Questi e altri ancora vanno a comporre un mosaico di storie senza una trama ben precisa, dove l’introspezione occupa molto più spazio dell’azione. Central Station non è un vero e proprio romanzo ma un fix-up, cioè una serie di novelle montate insieme con un’ambientazione comune e una trama orizzontale a legarle, simile al Ciclo della Fondazione di Isaac Asimov.
Le somiglianze con lo scrittore americano non finiscono qui, poiché come lui anche Tidhar preferisce la brevità sia nei romanzi sia nella costruzione delle frasi. A differenza di Asimov, però, la sua prosa è più elegiaca e il linguaggio occupa un ruolo importante nella caratterizzazione del suo stile. “La traduzione di questo libro è stata molto curiosa perché la scrittura di Tidhar all’inizio è semplice ma col passare delle pagine cresce in complessità, sia dal punto di vista concettuale sia da quello linguistico”, commenta Mana. “Ho cercato di conservare non solo il contenuto ma anche la struttura delle frasi e, soprattutto, il ritmo della sua voce, che è molto originale. È stata una bella sfida, impegnativa ma anche gratificante, perché è bello confrontarsi con un autore che ti mette in difficoltà”.
Le atmosfere fra il fantastico e il poetico della fantascienza di Tidhar non sono fatte di sole suggestioni; l’autore israeliano ha studiato, e si vede. Fra gli spunti scientifici più interessanti ci sono senza dubbio gli Altri, intelligenze artificiali cresciute in laboratorio e poi evolutesi secondo dinamiche proprie più della biologia che dell’informatica. Così Tidhar parla di Matt Cohen, il ricercatore che per primo le ha coltivate, poi diventato San Cohen degli Altri:
Tutto ciò che lui desiderava era essere lasciato in pace coi suoi computer, sapendo di non sapere cosa stesse facendo, che l’intelligenza digitale, quegli Altri ancora non nati, non potevano essere progettati, non potevano essere programmati, da coloro che usavano in modo sbagliato il termine intelligenza artificiale. Matt era uno scienziato evolutivo, non un programmatore. Lui non sapeva che forma avrebbero avuto quando alla fine fossero emersi. Solo l’evoluzione lo avrebbe determinato.
L’universo narrativo di Central Station ritorna anche in molti dei racconti di Terminale Terra che però, diversamente dal libro di Acheron Books, è un’antologia esclusiva, basata su una selezione di racconti scelti da Francesco Verso, scrittore e cofondatore del progetto editoriale indipendente Future Fiction.
“La grande capacità di cambiare stile e genere, anche all’interno della stessa opera, è un elemento centrale dello stile di Tidhar, che lo rende molto imprevedibile perché non si sa mai cosa aspettarsi da un suo libro”, spiega Verso. “A me interessa la fantascienza che parla di futuri prossimi e affronta temi come la genetica o i problemi sociali, quindi non è stato facile scegliere i suoi racconti che più si avvicinavano a quello che avevo in mente. Ci sono stati mesi di botta e risposta con lui per individuare le storie giuste ma sono molto soddisfatto del risultato perché credo che la fantascienza sia una narrativa che deve continuare a ibridarsi o finisce per riproporre sempre gli stessi canoni e gli stessi punti di vista”.