Sollevare pesi assurdi, sfondare pareti, accartocciare termosifoni. La forza sovrumana è una delle doti più diffuse fra gli eroi, mitologici o moderni che siano. È un potere semplice, primordiale, meno raffinato di abilità come la telepatia, il teletrasporto o il controllo del magnetismo, ma che continua a essere molto iconico. Questo è particolarmente vero per i supereroi dei fumetti, fin dalla prima apparizione di Superman, sulla copertina di Action Comics 1, dove lo si vede intento a esercitare la propria prodigiosa forza per sollevare una macchina. E non dimentichiamo che, nelle sue prime apparizioni, l’Uomo d’Acciaio non volava ma sfruttava tale forza per compiere salti prodigiosi.
È anche il tratto che caratterizza Enzo Ceccotti, il coatto protagonista di Lo chiamavano Jeeg Robot, interpretato da un superlativo Claudio Santamaria. Nella più classica delle storie di origine del supereroe, Enzo finisce a contatto con una sostanza sconosciuta che inaspettatamente gli dona una forza e una resistenza fisica fuori dal comune. Doti che Enzo, delinquentello solitario e abbruttito che vive a Tor Bella Monaca, pensa subito di sfruttare in maniera egoistica, finché l’incontro con una ragazza fragile e tenace al tempo stesso non lo spinge a diventare l’eroe che lei vede in lui. Lo chiamavano Jeeg Robot è un film che prende tutte le convenzioni di un genere – l’origine, l’isolamento, il supercriminale, la maschera – e le contamina con toni che vanno dal grottesco al violento, dal comico al drammatico, il tutto immerso negli ambienti e nell’accento della borgata romana, con uno stile che non rinuncia per un solo istante alla sua “italianità”. E in questo riuscitissimo mix, la superforza è l’unico potere che si addiceva a un eroe come Enzo Ceccotti: diretto, immediato e, soprattutto, molto simbolico. È la rappresentazione dell’uomo che con un solo gesto può far ciò che gli altri non fanno. Tipo salvare una vita in seguito a un incidente automobilistico.
Quello dell’eroe che usa la sua forza su una macchina per salvare qualcun altro è un’immagine molto ricorrente nel cinema e nei fumetti, ma non solo. C’è un’intera aneddotica di persone normali che sollevano autoveicoli, in genere per salvare bambini. Eventi non del tutto verificati che però, una volta ripuliti delle tante esagerazioni e distorsioni sensazionalistiche, potrebbero avere un fondo di scientificità. Due casi esemplari sono quelli di Angela Cavallo e di Tom Boyle, che sono stati citati, rispettivamente, dalla comunicatrice scientifica Jordan Gaines Lewis e da Jeff Wise, science writer e autore del libro Extreme fear, come esempi della cosiddetta forza isterica, cioè una manifestazione di forza inusuale innescata da situazioni di particolare stress emotivo. Paura, difesa della prole e intensa competizione sono gli esempi più spesso associati a questo tipo di reazione, in genere associata alla capacità di non sentire dolore e mediata da una scarica di adrenalina innescata dall’ipotalamo. A sua volta, l’adrenalina è in grado di aumentare la frequenza delle contrazioni di un muscolo e, di conseguenza, la forza che è in grado di esercitare. Ovviamente, simili prove di forza non possono durare a lungo visto l’enorme richiesta in termini energetici e di sforzo muscolare.
Questi casi richiamano alla mente i berserker norreni e il furioso stato di trance guerriera nel quale entravano in battaglia, durante la quale non erano in grado di distinguere i propri alleati dai nemici. Per questo indossavano pellicce di lupi o orsi per segnalare a tutti la loro instabile natura.