I denti, così come le ossa, sono indizi di grande interesse per chi studia l’evoluzione. Più di trecento geni controllano lo sviluppo e la formazione dei denti ma la maggior parte delle informazioni di cui disponiamo su questi geni provengono da studi condotti sui topi. Difficile quindi comprendere i dettagli dei processi evolutivi dei nostri denti, viste le tante differenze morfologiche con quelli dei topi e i 70 milioni di anni di evoluzione che ci separano da loro.
Per cercare di colmare questo gap di conoscenza, un gruppo di ricercatori guidati da Leslea Hlusko, dell’Università della California, Berkeley, ha sviluppato un approccio transdisciplinare che abbraccia genetica dello sviluppo, anatomia, paleontologia e neontologia. Sono così riusciti a individuare due tratti della dentizione dei Primati grazie ai quali hanno ricostruito alcune importanti tappe dell’evoluzione dei nostri antenati più prossimi. I risultati del loro lavoro sono stati pubblicati su PNAS.
La forma e la dimensione dei denti sono tratti complessi, in quanto influenzati da diversi geni le cui variazioni, prese singolarmente, hanno conseguenze piuttosto piccole. Inoltre, i processi genetici che controllano lo sviluppo di canini e incisivi sono separati da quelli che regolano la formazione di molari e premolari, che possono dunque evolversi in maniera abbastanza indipendente. Hlusko e i suoi colleghi hanno quindi condotto alcuni studi di genetica quantitativa su 632 babbuini della colonia del Southwest National Primate Research Center (SNPRC) di San Antonio, Texas, con lo scopo di individuare quei pochi geni la cui variazione porta invece a cambiamenti significativi nella morfologia dentale, e i fenotipi a essi associati. Ne hanno trovati due: il rapporto fra la lunghezza del terzo e del primo molare, e il rapporto fra la lunghezza del secondo molare e del quarto premolare. A essere ereditata non è quindi la dimensione del singolo dente, ma il rapporto fra le dimensioni di coppie di denti.