Da Endor a Turing. Gli stereotipi narrativi di cui potremmo fare a meno

Da Wired, 9 gennaio 2015

Foto: NPS Photo

Imponenti sequoie che si alzano da un sottobosco fitto di lussureggiante vegetazione. Questo lo scenario nel quale Luke Skywalker, ne Il ritorno dello Jedi, incontra la razza degli Ewok, buffe creature simili a orsetti alti meno di un metro, che lo aiuteranno nella sua battaglia contro l’Impero. La foresta mostrata nel film è quella della luna boscosa di Endor, chiamata così proprio perché interamente ricoperta di boschi. Il corpo celeste dotato di un unico ecosistema è un’ambientazione ricorrente nel mondo di Guerre Stellari ed è, in generale, un vero e proprio classico della space opera. In un articolo su io9, James Whitbrook li chiama pianeti a uso singolo e li include in una lista di stereotipi che gli autori di fantascienza e fantasy potrebbero smettere di usare.

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Chi ha paura dei giochi di ruolo?

Da Wired, 3 dicembre 2014.

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Perplessità, preoccupazione, allarme. Queste le parole usate da Massimo Montani e Gilberto Gerra, del Centro Studi Farmaco-tossicodipendenze dell’USL di Parma, per descrivere una pratica pericolosa e sempre più diffusa, che potrebbe portare a “fenomeni di alienazione e dipendenza fra i praticanti”.

Si tratta dei giochi di ruolo, spesso indicati con l’acronimo Gdr, cioè quei giochi basati sulla creazione e narrazione condivisa di storie delle quali i giocatori – a eccezione di uno di loro, che svolge il compito di arbitro e narratore – interpretano i protagonisti. Il più longevo e famoso è sicuramente Dungeons and Dragons, di ambientazione fantasy, e il loro successo ha ispirato svariati videogiochi blockbuster come Mass Effect o World of Warcraft.

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Il multiverso di Coherence

A ottobre, Oggiscienza ha ospitato uno speciale sulla scienza nella fantascienza e mi hanno chiesto di scrivere qualcosa. Io mi sono fatto prendere la mano e ho prodotto un po’ di roba, che ora ripropongo qui. Il quinto pezzo è la recensione di Coherence, di James Ward Byrkit, premiato al festival della fantascienza di Trieste.

McGuffin?

Una cometa, otto personaggi e il gatto di Schrödinger. Questi, insieme a una buona dose di bravura, gli ingredienti con cui James Ward Byrkit ha confezionato Coherence, film di fantascienza low-budget che si è aggiudicato il premio Wonderland al Trieste Science+Fiction.

Quattro coppie di amici si ritrovano per una cena. Si abbracciano, scherzano, e si scambiano aneddoti come fa chi si conosce da tempo e ha condiviso molto. Sullo sfondo, accennato e commentato con vaga curiosità dai protagonisti, c’è il passaggio di una cometa, più vicina del solito al nostro pianeta. Nonostante qualche momento di nervosismo e l’affiorare di qualche rimpianto, la cena procede e crea nello spettatore quella tensione da evento imminente che dà ritmo a tutto il film.

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Quando la fantascienza smette di interrogarsi

A ottobre, Oggiscienza ha ospitato uno speciale sulla scienza nella fantascienza e mi hanno chiesto di scrivere qualcosa. Io mi sono fatto prendere la mano e ho prodotto un po’ di roba, che ora ripropongo qui. Il quarto pezzo è la recensione di Index Zero, di Lorenzo Sportiello, premiato al festival della fantascienza di Trieste.

Sorridete, avete vinto un premio

Un uomo e una donna arrancano attraverso un paesaggio desolato. Luci e colori plumbei, poche scarne parole, edifici fatiscenti. L’inizio di Index Zero – il film di Lorenzo Sportiello che ha appena vinto il premio Méliès d’Argent al Trieste Science+Fiction – è efficace, evocativo e ben diretto. Soprattutto, rappresenta una vera rarità: un film di fantascienza italiano. L’ultimo di cui si ha memoria è l’eccellente Nirvana di Salvatores, del 1997.

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