Quando la fantascienza smette di interrogarsi

A ottobre, Oggiscienza ha ospitato uno speciale sulla scienza nella fantascienza e mi hanno chiesto di scrivere qualcosa. Io mi sono fatto prendere la mano e ho prodotto un po’ di roba, che ora ripropongo qui. Il quarto pezzo è la recensione di Index Zero, di Lorenzo Sportiello, premiato al festival della fantascienza di Trieste.

Sorridete, avete vinto un premio

Un uomo e una donna arrancano attraverso un paesaggio desolato. Luci e colori plumbei, poche scarne parole, edifici fatiscenti. L’inizio di Index Zero – il film di Lorenzo Sportiello che ha appena vinto il premio Méliès d’Argent al Trieste Science+Fiction – è efficace, evocativo e ben diretto. Soprattutto, rappresenta una vera rarità: un film di fantascienza italiano. L’ultimo di cui si ha memoria è l’eccellente Nirvana di Salvatores, del 1997.

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Distopico o ottimista? Il futuro visto dalla fantascienza

A ottobre, Oggiscienza ha ospitato uno speciale sulla scienza nella fantascienza e mi hanno chiesto di scrivere qualcosa. Io mi sono fatto prendere la mano e ho prodotto un po’ di roba, che ora ripropongo qui. Nel terzo pezzo mi sono lanciato in un dibattito su come la fantascienza sta raccontando il nostro futuro.

Per un futuro migliore

Possiamo immaginare una via verso un futuro migliore?

Per rispondere a questa domanda, lo scorso 2 ottobre si è riunito a Washington un eterogeneo mix di persone: dal direttore dell’ufficio innovazione della DARPA all’autore di Futurama, dalla fondatrice di SyFy Channel alla chief scientist della NASA. E poi professori, scrittori, giornalisti, che per una giornata si sono chiesti come la fantascienza può aiutarci a creare un futuro di cui i nostri discendenti possano andare fieri.

Ispiratrice dell’evento è stata Hieroglyph, un’antologia di racconti a sua volta ispirata da un articolo di Neal Stephenson del 2011, nel quale lo scrittore americano lamentava la stagnazione dell’innovazione odierna, secondo lui dovuta alla nostra preferenza per il guadagno a breve termine e alla sempre minor propensione ad assumersi rischi.

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Quando la scienza si fa weird

A ottobre, Oggiscienza ha ospitato uno speciale sulla scienza nella fantascienza e mi hanno chiesto di scrivere qualcosa. Io mi sono fatto prendere la mano e ho prodotto un po’ di roba, che ora ripropongo qui. Il secondo pezzo era un’intervista a Monte Cook, autore di giochi di ruolo.

 

 

Introducing Monte

“Amo la scienza, soprattutto le sue teorie e le sue idee più innovative. Sono affascinato dai computer quantistici, dalle nanotecnologie, dalle biotecnologie.” Parole di Monte Cook, game designer e scrittore che da più di vent’anni lavora nell’ambito dei giochi di ruolo. Quelli originali, dove dadi, carta e matite sono gli strumenti per immergersi nelle ambientazioni più fantasiose. Poi sono stati scoperti dai videogiochi che sì, certo, migliorano di anno in anno, sono avvincenti, evocativi e tutto quanto, ma quando si tratta di ‘giocare di ruolo’, non c’è niente di meglio di dadi, carta e matite.

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La scienza tarantiniana di Neal Stephenson

A ottobre, Oggiscienza ha ospitato uno speciale sulla scienza nella fantascienza e mi hanno chiesto di scrivere qualcosa. Io mi sono fatto prendere la mano e ho prodotto un po’ di roba, che ora ripropongo qui. Il primo pezzo era su Neal Stephenson, che se non sapete chi è fareste bene a informarvi.

Neal Stephenson non è certo uno di quelli scrittori di fantascienza che vanno per il sottile. Leggendo i suoi libri si finisce inevitabilmente con l’affrontare lunghe spiegazioni tecniche o storiche su come funzioni un certo strumento o come si sia arrivati a un determinato contesto socio-politico. Prendete Anathem, per esempio. Uscito nel 2008, il romanzo è ambientato su un pianeta simile alla Terra dove la società umana è divisa in due componenti che interagiscono solo in specifiche occasioni: il mondo matico, costituito da comunità di monaci-scienziati (chiamati avout), e il mondo secolare.

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